Asados Taguanes
Quando un ristorante che fa pollo alla brace si trasforma in oggetto di intimidazione politica di Maduro e simbolo di un popolo che vuole voltare pagina. Domani le elezioni presidenziali in Venezuela
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Oggi parleremo del Venezuela, dove domani si celebreranno le elezioni presidenziali . Una campagna elettorale caratterizzata dai toni più che accessi, ma anche da atti intimidatori e persecuzioni. Stando agli ultimi sondaggi, l’opposizione della Plataforma Unitaria Democratica potrebbe vincere le elezioni e porre fine a venticinque anni di chavismo.
Buona lettura
Tinaquillo è una piccola cittadina nello Stato di Cojedes, in Venezuela. Si trova su un altopiano ed è attraversata dalla Troncal 005, un’importante autostrada che collega gli Stati federali venezuelani di Cojedes, Portuguesa e Barinas, connettendo le regioni centrale, centro-occidentale e andina del Paese. Questo fa di Tinaquillo un centro urbano di passaggio per molti viaggiatori e anche un considerevole snodo industriale dell’area. In questa città c’è un piccolo ristorante che si chiama Asados Taguanes, dove è possibile assaporare il loro famoso pollo alla brace, piatti della cucina venezuelana e qualche pietanza internazionale (l’immancabile pasta o il gelato thai). Un posto frequentato dagli abitanti del luogo ma, appunto, anche da viaggiatori che sostano per ristorarsi.
Lo scorso 8 luglio Asados Taguanes è diventato noto al mondo non per le sue prelibatezze culinarie, ma per l’ennesimo caso di persecuzione politica contro l’opposizione ad opera del regime Maduro. Secondo molte agenzie di stampa, tra cui l’ANSA che ne ha dato notizia in Italia, le autorità competenti avrebbero chiuso il locale non «per presunte irregolarità trovate durante un’ispezione», bensì perché il giorno prima vi aveva pranzato Edmundo González Urrutia, il candidato della Plataforma Unitaria Democratica (la coalizione che riunisce l’opposizione venezuelana) che domani, 28 luglio, sfiderà Nicolas Maduro alle elezioni presidenziali. Sulle pagine social del ristorante molti i messaggi di solidarietà sotto il post che annuncia la chiusura temporanea: un follower si chiede come sia possibile prendersela «con la classe lavoratrice, solo per aver servito Edmundo». E altri lanciano messaggi di speranza, tipo «presto saremo liberi di nuovo» o «dopo il 28 luglio non chiuderete nemmeno un giorno, perché ci sarà tanta richiesta», scrive un altro alludendo alla potenziale vittoria di domani da parte dell’opposizione.
Paura e delirio in Venezuela
Negli ultimi mesi queste azioni si sono registrate frequentemente: lo scorso maggio, per esempio, è stato chiuso l’Hotel El Recreo, a La Victoria, città nello Stato di Aragua, dove avrebbero dovuto tenere un comizio elettorale Urrutia insieme a Maria Corina Machado. Machado è la leader indiscussa dell’opposizione. Sarebbe dovuta essere lei la candidata presidenziale dell’opposizione, grazie alla vittoria alle primarie di ottobre 2023 (portando quasi tre milioni al voto). Tuttavia, a gennaio il tribunale supremo di giustizia ha confermato la sua interdizione dagli incarichi pubblici e la ha quindi reso impossibile candidarsi (su questa vicenda potete leggere il mio approfondimento su MicroMega). Stessa sorte è toccata al ristorante Pancho Grill, delle sorelle Hernández, chiuso dopo aver venduto un pasto caldo a Maria Corina Machado e al suo staff. Un’ora dopo è arrivato il Seniat per mettere i lucchetti al locale. Una delle sorelle, successivamente, ha pubblicato un video sui social che è diventato virale e ha innescato un meccanismo di solidarietà con le quattro donne che fanno empanadas nel piccolo paesino di Corozo Pando, nello Stato di Guárico. Da quel momento hanno cominciato a farle accanto al ristorante per ordini da tutto il Venezuela e donarle alle scuole e alle comunità più povere di Corozo Pando.
Diverse sono le accuse al regime chavista: persecuzioni, intimidazioni, violenza fisica, sia a militanti che a semplici simpatizzanti della Plataforma Unitaria Democratica. Pochi giorni fa, la Machado ha scritto su X (ex-Twitter) che «Maduro ha fatto della violenza e della repressione la sua campagna elettorale», denunciando l’arresto di Milciades Avila (rilasciato due giorni dopo), il suo responsabile della sicurezza con l'accusa - scrive la leader dell’opposizione - «di violenza di genere nei confronti di alcune donne che sabato scorso hanno cercato di aggredire me ed Edmundo Gonzalez». A dieci giorni dalle elezioni, il 18 luglio, Machado ha denunciato sul social di Elon Musk che i freni della sua auto sarebbero stati manomessi. Come ha raccontato il quotidiano spagnolo El Pais, sempre il 18, in una manifestazione di fronte alla Procura della Repubblica di Caracas, «i manifestanti hanno ricordato che ci sono stati 114 arresti arbitrari per scopi politici, di cui 102 legati all'opposizione». Il messaggio che arriva è fortemente intimidatorio, perché l’obiettivo è far sentire la Machado e i suoi vulnerabili e, allo stesso tempo, scoraggiare gli elettori a recarsi alle urne.
Qualcosa è cambiato
A queste elezioni si arriva a seguito della firma degli accordi di Barbados tra chavismo e opposizione, del 17 ottobre 2023, grazie alla mediazione di Russia, Norvegia, Barbados, Paesi Bassi, Stati Uniti, Colombia e Messico. In sostanza, in cambio di un alleggerimento delle sanzioni da parte di Washington, Maduro si impegnava a garantire elezioni presidenziali nel secondo semestre del 2024 e la possibilità agli attori politici di scegliere i propri candidati. Abbiamo visto che questi accordi non sono stati rispettati dal chavismo con l’interdizione di Machado e altri oppositori. Eventi che avrebbero potuto far saltare tutto e lasciare Maduro tranquillo a Palacio Miraflores.
Ma a differenza del 2018 - in cui l’opposizione decise di boicottare le elezioni presidenziali a causa della mancanza di imparzialità e trasparenza - qualcosa è cambiato. Molte persone sono consapevoli che il loro voto potrebbe essere decisivo. In tanti vogliono voltare pagina e lo hanno dimostrato con l’ampia partecipazione alle primarie della coalizione anti-chavista dello scorso ottobre.
Allo stesso tempo, la popolarità di Maduro è sempre più bassa. In questi undici anni di governo, il regime si è insinuato in tutti gli ingranaggi del sistema, arrivando a controllare il potere legislativo, l'esercito, la polizia, la magistratura, il consiglio elettorale nazionale e gran parte dei media, limitando l’agibilità politica degli avversari. Inoltre, il Venezuela, con il governo madurista, ha sperimentato una lunga fase di recessione e una spirale di inflazione senza precedenti, a causa della caduta dei prezzi delle materie prime negli anni dieci del Duemila e all’incapacità di diversificare l’economia, totalmente dipendente dal petrolio, di cui il Paese dell’America meridionale possiede le maggiori riserve al mondo. Poi, le sanzioni imposte dagli USA, a causa della stretta autoritaria del regime, hanno fatto il resto.
Una delle più gravi conseguenze di questa situazione è stata l’esplosione di una profonda crisi umanitaria che il Venezuela vive ancora oggi. Secondo Acnur sono partiti 7,7 milioni di venezuelani, il terzo esodo più grande nell’ultimo decennio, dopo Siria e Ucraina. Molte persone hanno deciso di andarsene, rischiando tutto, verso i vicini dell’America meridionale, altri tentando il viaggio della fortuna, attraversando l’America centrale, direzione Stati Uniti. L’emigrazione di massa non ha fatto altro che esacerbare il quadro economico e sociale del Paese.
Ad onor del vero, nell’ultimo anno, l’economia venezuelana è cresciuta del 4,2%, trainata dall’industria petrolifera, in particolare grazie all’allentamento delle sanzioni di Washington. Come spiega a El Pais l'economista Rodrigo Cabezas, professore dell'Università di Zulia ed ex ministro delle Finanze, «la crescita del PIL nel periodo 2022-2024 non solo è moderata rispetto alla perdita del 75% dell'economia totale durante gli anni di Maduro, ma è anche molto disomogenea per settore». Questo significa che senza un vero e proprio cambio di marcia, considerando l’isolamento del Paese e la reticenza della comunità finanziaria a concedere credito al regime chavista, difficilmente il Venezuela potrà essere protagonista di una crescita stabile, robusta e a lungo termine in grado di impattare positivamente sulle persone.
La sfida
Ciò nonostante, Maduro domani tenterà di essere eletto per la terza volta consecutiva. Gli ultimi sondaggi non giocano a suo favore. Secondo i dati di Clear Path, González Urrutia avrebbe il 59% dei consensi rispetto al 31% di Maduro, quindi con un divario di 28 punti. Tuttavia, lo studio di Poder y Estrategia ha mostrato che il primo avrebbe il 64% dei voti, mentre il chavista si fermerebbe al 21%, con un divario ancora maggiore, di 43 punti.
In ogni modo, Maduro non si arrende. Sa che una sconfitta potrebbe non significare semplicemente la sua uscita dalla scena politica. Il timore è che su di lui possano essere avanzate delle accuse per la sua gestione del potere. La campagna che sta portando avanti punta a infondere timore tra le persone. In più occasioni ha definito l’opposizione «fascista» o come coalizione di «estrema destra» e che sta pianificando presunti «piani terroristici per destabilizzare il Paese». E ancora, che solo la sua vittoria potrebbe evitare un «bagno di sangue» e far sprofondare il Venezuela in una «guerra civile fratricida». Parole che hanno «spaventato» anche il presidente del Brasile Lula, suo amico, che in una conferenza stampa della scorsa settimana ha affermato che in democrazia «chi perde ottiene un bagno di voti, non un bagno di sangue». Redarguisce il suo omologo venezuelano, sostenendo che se vuole «contribuire a risolvere il problema della crescita del Venezuela e del ritorno di coloro che se ne sono andati devi rispettare il processo democratico». A voltargli le spalle anche i Presidenti cileno e colombiano, Gabriel Boric e Gustavo Petro, appartenenti, secondo Maduro, alla «sinistra codarda».
Se l’obiettivo della narrazione madurista è convincere gli indecisi a rimanere a casa o votare per l’oficialismo, non sembra stia funzionando. Forse ha ragione la Machado, che in un’intervista alla CNN ha detto che «Maduro non fa più paura». Secondo lo studio di Clear Path, di quelle persone che non si identificano né con l’opposizione né con il chavismo, circa il 61% opterebbe per González Urrutia.
Sorprende questo dato se si pense che fino a poco tempo fa il candidato presidente della Plataforma Unitaria era uno sconosciuto. Classe 1949, diplomatico (è stato Ambasciatore in Algeria e Argentina), è stato votato all’unanimità dalle formazioni che compongono la coalizione anti-chavista. Spesso i maduristi per screditarlo dicono che è troppo anziano per poter fare il presidente (ricorda la piallante retorica repubblicana fino a che Biden non decidesse di ritirarsi). Gode del pieno sostegno della leadership, in particolare della Machado, che sta percorrendo il Paese da nord a sud, da est a ovest, con lui o senza di lui, per sostenerlo e farlo diventare il futuro Presidente del Venezuela. Nelle interviste - rigorosamente sui media stranieri (difficile trovarne su quelli venezuelani) - ama dire che, qualora dovesse vincere, sarà un «Presidente di transizione». Il suo principale obiettivo è quello di «ricostruire il Venezuela» e la «democrazia», aprire una stagione di «riconciliazione» e «superare la diatriba per vedersi come venezuelani e non come nemici».
La tempra di González Urrutia rimanda allo spirito del Patto di Punto Fijo, siglato nel 1958 tra i principali partiti venezuelani usciti dalla dittatura jimenista, che si accordarono per ripristinare la democrazia e consolidare in Venezuela una cultura del consenso e del rispetto dell'avversario.
Forse è lo spirito che dovrà prevalere a partire da lunedì prossimo, a prescindere da chi uscirà vincitore dalle urne. L’opposizione è variegata e piena di incognite, il chavismo è in crisi. Segnali che ci dicono quanto sia delicata questa fase. La cosa certa è che il popolo venezuelano non può più attendere e la transizione verso la democrazia è un passaggio fondamentale per ricostruire una società fortemente divisa.
Purtroppo oggi sappiamo come sono andate le elezioni. Che tristezza, povero Venezuela. Verrà fuori che ci sono stati davvero dei brogli, ma chi potrà intervenire per ristabilire ciò che il popolo vuole e ha votato? Nessuno, temo.
Purtroppo quello che scrivi è triste ma vero. Ho potuto constatare che questo atteggiamento polarizzatoIo ha spesso a che fare o con ignoranza o con la mancanza di volontà di vedere le cose a 360°. Io sono di sinistra, non ne ho mai fatto segreto, e sono sempre stato anti-maduro, perchè sono contro ogni forma autoritaria. Basterebbe parlare con qualche esule. Non dico studiare. Basterebbe ricordarsi che in Cile, la coalizione anti-Pinochet, nell'88, andava dal centro-dx alla sinistra, perchè nonostante le diversità, prima di tutto andava ripristinata la democrazia.